Por Silvia Avallone para Corriere della Sera
Un caro amico, insegnante al liceo classico di Biella dov’è nata la nostra amicizia, mi ha telefonato con voce sconsolata: «Quest’anno siamo riusciti a fare una classe sola». Mi si è stretto il cuore. La flessione non riguarda solo il nostro amato G. e Q. Sella, bensì i licei classici in Italia, e questo declino non riesco a non leggerlo come un’ipoteca sul futuro.
Futuro che non mi è mai parso così fragile: guerre, crisi climatica ignorata dai governi, violenza di genere, la giustizia sociale e i diritti umani calpestati da biechi interessi economici. Un quadro che sembra senza speranza. Ma per me una speranza esiste: la cultura.
Istruzione, educazione, ragionamento: sono gli strumenti per costruire un mondo diverso, e per realizzare sé stessi. A me li ha forniti, in misura ampia, proprio il classico. E voglio smentire subito alcuni luoghi comuni: non è antiquato, serve eccome a trovare lavoro (prepara benissimo all’università). Il greco e il latino sono lingue morte solo in apparenza, ma allenano la vita del pensiero al punto che permettono qualsiasi mestiere, e d’inventarne addirittura. In un presente pieno d’incognite e di prodigi da manovrare con attenzione – l’intelligenza artificiale per esempio – il pensiero è l’attività più importante da esercitare.
Rispetto a queste e altre sfide, non immaginate quanto mi sia stato utile studiare filosofia fin dal liceo. Domande come: «Cos’è la libertà?» non sono perdite di tempo, bensì quesiti che incidono sulla nostra vita. Platone aiuta a prendersi cura dell’anima anziché investire troppo in esteriorità, che spesso lascia soli e infelici. La massima di Orazio « Est modus in rebus» mi torna in mente quando sono tentata di esagerare o scontrarmi anziché trovare una mediazione. E in quante occasioni le tragedie di Sofocle – il contrasto tra legge divina/morale e legge degli uomini nell’ Antigone, i drammi famigliari nell’ Edipo re – mi hanno guidata nella lettura dei problemi sociali e dei dibattiti politici? Ogni volta che sento un facile slogan spacciato per «verità assoluta», ripenso al «so di non sapere» di Socrate.
Il classico mi ha insegnato che niente, a parte le trappole, è «tutto subito», e che la fatica, il tempo, il lavoro di squadra sono tre beni necessari a migliorarsi. Gli obiettivi a lungo termine, che richiedono più pazienza e riguardano non solo me, ma anche la comunità in cui vivo, generano più felicità persino nell’attesa e nella frustrazione. Siamo esseri desideranti, e senza sogni e ostacoli diventiamo vuoti.
Uno dei miei sogni è che ci vadano sempre più adolescenti, a innamorarsi di Catullo e di Kant. In ogni centro, periferia e provincia, che il classico sia quel che la scuola dovrebbe sempre essere: il vero incontro tra persone in fioritura senza differenze di ceto, religione, sesso; il vero ascensore sociale.
Solidarietà e riscatto, ossia: il futuro migliore.